mercoledì 10 aprile 2013

La morte ha le piume – Prima parte




Mentre sedeva nella stanza buia e contemplava la porta della cella sconquassata dai colpi della creatura, Carl Vaughn non poteva fare a meno di maledire la sua hybris. Solo un anno prima quella che ora era una spaventosa e ripugnante realtà era stata poco più di una teoria, una serie di appunti scribacchiati sul sottobicchiere di un pub. Poi era cominciato l'esperimento, finanziato in gran parte dall'eredità di famiglia, con cui aveva acquistato esemplari di uccelli di svariate specie selezionate con cura e fatto costruire una voliera nella sua baita nelle Catskill, lontano da occhi indiscreti. Quando si era trovato a dover affrontare un serio problema di fondi, Vaughn lo aveva risolto rubando la strumentazione che ancora gli mancava dal laboratorio dell'università. Una decisione che allora era parsa necessaria, ma di cui oggi si pentiva amaramente e non passava notte senza che il senso di colpa figliasse incubi tremendi con la sua mente sull'orlo dell'esaurimento nervoso.

Ma nessuna delle sofferenze patite nei mesi precedenti poteva essere paragonata al terrore cieco che stava provando in quel momento. Terrore misto alla vergogna per aver scioccamente esultato solo poche ore prima, quando l'esperimento si era concluso con successo. Pazzo! Che cosa credeva di ottenere? Pensava davvero che un ometto insignificante avrebbe potuto controllare una forza ancora largamente sconosciuta come l'ingegneria genetica? Sì, fino alla sera prima lo aveva pensato e ora quella dorata illusione si era frantumata, crollando su se stessa come un castello di carte.

Quella storia, in realtà, era cominciata qualche anno prima, quando era ancora un semplice studente della North Carolina State University. Fu l'incontro con il professore di paleontologia Hermann Fenton ad aprigli gli occhi. Ricordava ancora la lezione durante la quale Fenton aveva scherzato sulle teorie di clonazione dei dinosauri rese celebri da alcune opere di finzione. “Sarebbe molto bello – aveva detto – ma, ahinoi, è assolutamente impossibile. Dopo sessantacinque milioni di anni non c'è alcuna speranza di rinvenire del materiale genetico integro e senza di esso non ci può essere clonazione”. “Allora possiamo stare tranquilli, non perderemo mai il lavoro”, aveva commentato uno studente tra le risate generali. “Beh, non proprio: esiste forse un altro metodo. Come sapete, le ultime teorie, con le quali concordo, dicono che i moderni uccelli non sono derivati dai dinosauri, ma sono dinosauri a tutti gli effetti. Teoricamente, attraverso incroci scelti tra le specie moderne di uccelli, sarebbe possibile far riemergere i geni ancestrali dei loro antenati. È una tecnica che si chiama breeding back”.

Quella lezione cambiò per sempre la sua vita. Carl ricordava che in quel preciso istante aveva deciso di dedicarsi alla genetica e di specializzarsi, appunto, nel breeding back. Col passare degli anni ne era diventato uno dei maggiori esperti a livello mondiale, ma il suo punto di vista sulla bioetica e i limiti da imporre alla ricerca genetica spesso lo esponevano a dure critiche da parte dei colleghi scienziati e dell'opinione pubblica. Vaughn credeva che potere eguagliasse dovere. “Se Dio fosse contrario all'ingegneria genetica, non ci avrebbe creati tanto intelligenti da scoprirla”, aveva dichiarato in una celebre, quanto controversa intervista al Christian Science Monitor. “Dio ci ha fatti a sua immagine, perciò anche noi abbiamo il diritto di creare”.




Stolto! Folle! Ecco a cosa lo aveva portato tutta quella tracotanza: a sedere in una stanza buia dentro una baita lontana da tutto e tutti, accanto a una porta blindata che stava per cedere sotto gli incessanti colpi di un abominio da lui stesso creato. Perché la porta stava per cedere, di questo era certo. Tra pochi minuti il mostro si sarebbe liberato e l'avrebbe sventrato con i suoi artigli, per poi fuggire tra le montagne fino a raggiungere altre prede da sgozzare e divorare. La sua fame era insaziabile e lo aveva scoperto nel peggiore dei modi: dentro la cella c'era quanto restava del suo assistente, Eli Zucker, un giovane brillante con un grande futuro davanti a lui. Un futuro definitivamente cancellato dal rapido scatto di un artiglio.

BOOM! BOOM!! BOOM!!! I colpi stavano aumentando di ritmo e intensità. Vaughn sentì la serratura gemere poco prima che il lucchetto si spaccasse, rovinando a terra con un clangore metallico. Poi quel lugubre cigolio e la porta che si apriva sull'antro buio, da cui perveniva solo il rumore di un respiro pesante e bestiale, accompagnato da un odore che nessun uomo prima di lui aveva mai sentito. Il puzzo della preistoria.

“Avanti, mostro – gridava Vaughn ormai in preda a una schiumante follia – Uccidimi! Squartami! Fai quello che devi fare ma fallo subito!”. La fioca luce lunare che permeava dalle finestre impolverate disegnò una forma inaudita quando l'essere fece i primi, timidi passi fuori dalla sua prigione. Il dinosauro stava annusando l'aria e Carl vide che si stava avvicinando a lui con cautela. Il buio impediva allo scienziato di scorgere bene la forma di quel suo figlio terrificante: riusciva solo a vedere quegli occhi gialli da rettile che risplendevano come monili d'oro nella notte, tanto luminosi che, anche quando chiudeva gli occhi, continuava a vederne il contorno. Il teropode giunse finalmente a pochi passi da lui e gli annusò con attenzione il volto. Vaughn fissava quel muso agghiacciante che ricambiava il suo sguardo a pochi centimetri di distanza. Il mostro rimase in quella posizione per pochi secondi, ma a Vaughn parvero un'eternità. Il sudore freddo colava dalla sua fronte e il cuore sembrava ormai lo stantuffo di un treno in corsa nel suo petto.

Vaughn voleva morire! Lo voleva con una tale intensità che si meravigliava di non essere ancora crepato solo con la forza di volontà. Ma evidentemente suo “figlio” non la pensava allo stesso modo e, per via di un qualche tipo di riconoscimento o imprinting, decise di lasciare in vita l'uomo, dileguandosi nella notte verso destinazione ignota. Carl proruppe in un pianto liberatorio, ma dopo essersi sfogato tornò allo stato di terrore che lo aveva tormentato dalla notte precedente: il mostro era libero, libero di uccidere e nutrirsi e seminare morte per tutto lo stato. Ed era solo colpa sua. [Continua]

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