lunedì 29 aprile 2013

La caverna di Alpha Arcturi – Seconda parte





Fu allora che avvertì un rumore quasi impercettibile alle sue spalle, come di sassolini che rotolassero sulla superficie rocciosa. Non fece nemmeno in tempo a voltarsi per vedere cosa avesse scatenato la minuscola frana che qualcosa – o meglio qualcuno – gli fu addosso. Zitus lottò con tutta la forza che gli era rimasta in corpo contro quell'avversario umanoide, di cui non riusciva a scorgere altri dettagli nel buio, a parte il fatto che era nudo e indossava solo una pelle di animale sull'inguine e un copricapo piumato. Infine, visto che l'avversario non pareva intenzionato ad arrendersi, estrasse il coltello e lo trafisse all'addome. L'alieno cadde riverso sulla nuda roccia esalando l'ultimo respiro. Zitus si avvicinò al cadavere e lo ribaltò. Ciò che vide, lo lasciò senza fiato.

lunedì 22 aprile 2013

La caverna di Alpha Arcturi – Prima parte




Zitus Bell non aveva mai pensato che sarebbe morto congelato, nella pancia di una grotta su un ostile pianeta alieno, a migliaia di anni luce dalla Terra. Si era arruolato volontariamente nelle Fiamme Argentee, il corpo di polizia spaziale fondato del presidente Koutra II e promosso da Koutra III a unica forza militare della galassia. Erano giorni gloriosi quelli in cui si era iscritto alle liste, aveva passato l'addestramento col pieno dei voti ed era partito alle volta di Arturo col cuore gonfio di orgoglio. Ora, a dieci anni da quel fatidico viaggio, avrebbe sorriso della sua ingenuità, se avesse potuto muovere le labbra.

Il vento sfrecciava a trecento chilometri orari nella gelida notte di Alpha Arcturi. Zitus si era rannicchiato per bene nella coperta termica in dotazione, ma gli anni avevano scavato enormi buchi rendendola di fatto inutile. Se ne era reso conto ben presto, ma aveva dovuto scegliere tra il morire sbranato dalle belve feroci della tundra o per assideramento. Aveva preferito la seconda opzione.

Sperava di prendere sonno e morire dormendo, la prospettiva più invitante degli ultimi sei mesi. Ma non riusciva ad addormentarsi perché, ogni volta che ci provava, veniva richiamato dal dormiveglia dagli ululati delle bestie sanguinarie che si aggiravano per l'altipiano, in cerca di carne. Si domandava se quell'ultimo verso agghiacciante fosse stato quello di un Urlocefalo o di un Tetragraboide. Non che facesse molta differenza.

mercoledì 10 aprile 2013

La morte ha le piume – Prima parte




Mentre sedeva nella stanza buia e contemplava la porta della cella sconquassata dai colpi della creatura, Carl Vaughn non poteva fare a meno di maledire la sua hybris. Solo un anno prima quella che ora era una spaventosa e ripugnante realtà era stata poco più di una teoria, una serie di appunti scribacchiati sul sottobicchiere di un pub. Poi era cominciato l'esperimento, finanziato in gran parte dall'eredità di famiglia, con cui aveva acquistato esemplari di uccelli di svariate specie selezionate con cura e fatto costruire una voliera nella sua baita nelle Catskill, lontano da occhi indiscreti. Quando si era trovato a dover affrontare un serio problema di fondi, Vaughn lo aveva risolto rubando la strumentazione che ancora gli mancava dal laboratorio dell'università. Una decisione che allora era parsa necessaria, ma di cui oggi si pentiva amaramente e non passava notte senza che il senso di colpa figliasse incubi tremendi con la sua mente sull'orlo dell'esaurimento nervoso.

Ma nessuna delle sofferenze patite nei mesi precedenti poteva essere paragonata al terrore cieco che stava provando in quel momento. Terrore misto alla vergogna per aver scioccamente esultato solo poche ore prima, quando l'esperimento si era concluso con successo. Pazzo! Che cosa credeva di ottenere? Pensava davvero che un ometto insignificante avrebbe potuto controllare una forza ancora largamente sconosciuta come l'ingegneria genetica? Sì, fino alla sera prima lo aveva pensato e ora quella dorata illusione si era frantumata, crollando su se stessa come un castello di carte.

sabato 6 aprile 2013

La zona neutra – Quarta parte




Parte 1 | Parte 2 | Parte 3

Bloom riprese i sensi lentamente e la prima cosa che avvertì fu un forte mal di testa, seguito da un brusio nella stanza. Aprì gli occhi e si rese conto di essere riverso sul pavimento, a poca distanza dalla brandina su cui era poggiato il corpo senza vita del capitano. Che cosa fosse successo, il professore lo dedusse in pochi attimi: accanto a lui, infatti, si trovava un estintore, che evidentemente si era staccato dal suo alloggio a causa della scossa che aveva attraversato l'astronave e gli era piombato in testa. Bloom si passò una mano sul cranio e avvertì un grosso bozzo nel punto in cui la pesante tanica metallica lo aveva colpito. Il brusio lo preoccupava: temeva di aver subito un trauma cranico. Tentò di alzarsi ma le forze lo reggevano a fatica, perciò decise di fare un passo alla volta: sostenendosi con le mani si mise prima in ginocchio e poi, poggiandosi contro la parete alle sue spalle, si alzò finalmente in piedi, barcollante.

Il mondo girava intorno a lui. La stanza era buia: chiaramente qualunque cosa fosse stata a causare la scossa aveva anche fatto saltare l'impianto elettrico. Poi gli occhi di Bloom incontrarono un dettaglio curioso: una leggera luminescenza avvolgeva una porzione del laboratorio, quella in cui si trovava il cadavere di Katanga. La mente dello scienziato era ancora attutita e confusa per la botta, ma si sforzò comunque di mettere a fuoco ciò che i nervi ottici stavano comunicando al cervello. E la scoperta che ne seguì lo sconvolse fino all'orlo della pazzia.