venerdì 29 marzo 2013

La zona neutra – Terza parte




Lo sceriffo aveva conosciuto il capitano Katanga una sessantina di anni prima, quando entrambi erano impegnati nel servizio di leva preso Fort Bazuzu, nel deserto corallifero della sesta luna di Caronte V. Johnny lo aveva visto affrontare da solo due energumeni arturiani di due metri e mezzo per due, che avevano preso di mira una matricola e la stavano tormentando in sala mensa. Katanga si era messo in mezzo e ne era nata una rissa dalla quale, senza alcun aiuto, l'uomo era uscito ammaccato ma vincitore. Aveva preso a calci nel culo quei due bestioni e poi era tornato a sedersi per finire la zuppa.

A vederlo adesso, congelato e privo di vita sul freddo lettino del laboratorio, gli sembrava impossibile che fosse la stessa persona. Ma c'era qualcosa che lo turbava più profondamente: i tratti del suo viso erano scomposti, deformati, come una tazza di ceramica rotta e ricomposta alla meno peggio con la colla. Non era il solo ad averlo notato. “Mio Dio – disse O'Bannon con un'espressione di disgusto – Che cosa gli è successo?”. Martian esalò un profondo respiro e infine svelò quello che aveva sempre sospettato: “Un cubo arcaissiano”. O'Bannon rivolse a lui lo sguardo e la sua espressione mutò da disgustata a interrogativa: “Un cosa?”. “Un cubo arcaissiano. Si tratta di un congegno molto efficiente, costruito dagli orologiai di Arcaissi. È simile a un cubo di Rubik: è formato da ventisette piccoli cubi che, una volta entrati in contatto con un oggetto, animato o inanimato, si insinuano nella sua struttura molecolare e la scompongono, causandone l'implosione. Alla fine assorbono l'oggetto e lo immagazzinano”. “Per quanto tempo?”, chiese O'Bannon. “Oh, nel caso di un oggetto inanimato, anche per secoli. Nel caso di un essere vivente, poche ore”. Il professor Bloom lo fissava sbalordito. Non avrebbe mai pensato che quell'insulso uomo rosso fosse a conoscenza di tutti quei dettagli.

lunedì 25 marzo 2013

Il fiume cremisi




Erano giunti da uno spazio “diverso”. La loro astronave a memoria sub-particellare li aveva traghettati verso la Volta a cavallo di stringhe di luce sulfurea. I guerrieri cerulei a bordo del vascello scintillante avevano battuto le membrane in cerca del mondo sopra i mondi, del passaggio che avrebbe loro consentito di accerchiare le difese dei loro eterni nemici, la razza maledetta che aveva condannato il loro pianeta blu alla morte.

Da secoli i loro scienziati andavano teorizzando quello che l'equipaggio aveva appena scoperto con occhi increduli: che l'universo non era una piatta distesa di materia senza fine ma una creatura pulsante, un animale più antico degli eoni stessi. La Bestia respirava cascate di stelle cadenti e nebulose, si pasceva di pulsar tanto lontane che la loro luce giungeva agli occhi dei Liberi solo dopo centinaia di migliaia di kaldar. Ma non per la Bestia, che tutto vedeva e poteva raggiungere con un sol movimento della sua immane zampa.

giovedì 21 marzo 2013

La valigetta (Carletto contro i dischi volanti)




Ci aveva provato Carlo Semenzana a rigare dritto. Dopo tre anni di carcere per traffico di stupefacenti, era uscito in libertà vigilata e aveva trovato lavoro come camionista presso la Ital-Cementi di Bassano del Grappa. Ogni giorno si svegliava la mattina alle 5.30, prendeva quel dannato camion e lo guidava avanti e indietro per il Nord Italia. La sua vita ormai si divideva tra la corsia di destra e l'Autogrill e in quelle lunghe tratte, col culo che gli faceva male per quanto era scomodo il sedile di quel camion da pezzenti, ripensava ai gloriosi giorni degli anni Ottanta in cui aveva scoperto quanto fosse remunerativo piazzarsi fuori dai licei a vendere ganja e, occasionalmente, eroina.

Un regime di lavoro che aveva mantenuto il più a lungo possibile, finché la polizia non si era messa a fare controlli più scrupolosi e l'aveva costretto a ripiegare su una nuova strategia. Nel 2000 aveva preso in affitto un vecchio appartamento a Veronetta: era un posto umido e fatiscente e apparteneva a una anziana ricca che sperava di guadagnarci bene senza restaurare. A lui andava benone, comunque: era grande e c'era un salottino accanto alla porta di ingresso, dove poteva svolgere i propri affari senza che i clienti gli invadessero casa. Poi un giorno era arrivato uno dei suoi clienti abituali, il Rezza, che gli aveva presentato un amico. Avrebbe dovuto capire subito che si trattava di uno sbirro: era vestito da “alternativo” in maniera smaccata e goffa, esattamente come gli sbirri fanno. Indossava un berretto rasta, una maglietta con disegnata una foglia di Maria che imitava il logo Adidas, con sotto scritto “Cannabis”, un paio di jeans di tre misure più grandi e ai piedi indossava degli anfibi chiodati. Quale cazzo di fricchettone con la fissa di Bob Marley si mette ai piedi anfibi chiodati? Comunque, “Carletto”, come lo chiamavano tutti, si fidava dei suoi clienti più stretti. Quello che non poteva sospettare era che il Rezza fosse stato beccato a scaricare foto di minori dai siti porno e che i pulotti gli avessero proposto uno scambio: inchiodare lui in cambio della libertà.

lunedì 18 marzo 2013

La zona neutra – Seconda parte




Johnny Martian non sopportava più quel lavoro. Si era alzato come ogni mattina dalla dura brandina che oramai i membri della ciurma si erano abituati a chiamare letto. Ma lui, che aveva servito come sceriffo sui vascelli della federazione xandoriana per quindici anni, sapeva bene cosa la parola “letto” significasse. Si mise a sedere per qualche minuto, massaggiandosi la schiena dolente – aveva ormai ottantasette anni e poteva definirsi un uomo di mezza età – e poi si sforzò di alzarsi. Entrato nel bagno, si fermò per qualche istante a guardare la sua immagine riflessa nel minuto specchio. Davanti aveva il volto scarno di un uomo stanco e disilluso. Le guance erano scavate e le vistose rughe denunciavano la sua non più giovane età. La sua carnagione rossa, dovuta agli esperimenti genetici condotti sui primi coloni marziani da cui egli discendeva, stava scadendo nell'arancione.

Si fece una piacevole doccia calda e la barba, poi scese nella sala mensa e si godette un'abbondante colazione composta di uova, bacon e caffè liofilizzati – i migliori sulla piazza. Soddisfatto, lasciò la mensa per dirigersi al suo ufficio e smistare le scartoffie. La colazione lo aveva messo di buon umore: dimenticata la stanchezza e la frustrazione del risveglio, pensò che fare lo sceriffo su un'astronave scientifica non era poi così male – non c'erano mai emergenze e lui poteva avere tutto il tempo libero che desiderava. Per sua sfortuna il flusso di pensieri positivi venne bruscamente interro dallo squillo del comunicatore. Martian lo sganciò dalla cintura e se lo portò all'orecchio. “Sì, qui lo sceriffo”, disse. “Sceriffo – rispose la voce di Stratos – farebbe meglio a venire a dare un'occhiata nell'ufficio del capitano. È una bella gatta da pelare”.

mercoledì 13 marzo 2013

Vendesi anima, occasione unica





Il mondo era restato a guardare stupito e un po' inquieto quando il professor Armin Keppel aveva scoperto l'anima. Quella che per secoli era stata, per gli scienziati, poco più di una superstizione, si era rivelata invece una verità scientifica misurabile e, soprattutto, manipolabile. Dopo lunghi anni di studio, Keppel aveva scoperto un metodo per “catturare” l'anima al momento del trapasso. Il procedimento era il seguente: il soggetto veniva chiuso in una camera iperbarica poco prima di morire. Quando esalava l'ultimo respiro, l'anima si proiettava nell'aria circostante e a quel punto veniva attirata da una speciale batteria, che si caricava con l'energia stessa dell'anima. Una volta catturata, l'anima poteva essere conservata per un certo periodo di tempo e in seguito re-immessa in altri soggetti.

Si era creato in poco tempo un vero e proprio “mercato di anime”: i più ricchi lasciavano scritto nel testamento che, al momento del decesso, la loro anima fosse trapiantata in un corpo più giovane. Il richiedente non doveva fare altro che pattuire una certa somma – talmente cara che il novanta percento della popolazione mondiale non se la poteva permettere – con una delle tante agenzie che si occupavano della cattura, l'immagazzinamento e il trasporto delle anime. Un acconto veniva versato al momento della stipula del contratto, il resto a cose fatte. Questo per evitare, come era successo nei primi anni di vita del “metodo Keppel”, che qualche lestofante si prendesse i soldi e poi gettasse via il silo contenente l'anima (o “soul-silo”).

lunedì 11 marzo 2013

La zona neutra – Prima parte




Duecento giorni di navigazione e di terra ferma neanche l'ombra. L'astronave era partita da Tico-teco alla volta del Limen, o almeno questo era ciò che si augurava il professor Bloom, che di quella teoria era il sostenitore più accanito. Ne aveva abbondantemente dibattuto a tutti i più importanti simposi scientifici delle Sette Galassie e ne aveva anche scritto nel suo ultimo e più completo trattato, “Del Limen: teoria e fenomenologia dell'universo e dei suoi confini”. Bloom sosteneva che l'universo fosse tenuto insieme dal suo conflitto fisico con l'anti-materia presente all'esterno di esso, e che questo conflitto si manifestasse a occhio nudo nella forma di un “muro” o “zona neutra”, dove non erano presenti stelle o pianeti e dove le leggi della fisica e della geometria euclidea non erano applicabili. “L'Uomo deve conoscere i confini del suo Mondo – era solito ripetere ai suoi studenti – perché è solo attraverso la conoscenza dei propri limiti che si può aspirare all'eccellenza e al dominio”. Naturalmente, la spedizione a bordo dell'Odissea non aveva ricevuto gli enormi finanziamenti richiesti sulla base della mera curiosità umana: Bloom aveva prospettato enormi ricavi dall'estrazione e dall'utilizzo della materia oscura, abbondante nella zona neutra, che poteva essere usata per implementare i motori a curvatura e addirittura per la costruzione di pianeti e stelle artificiali, nonché dei wormhole necessari al viaggio intergalattico. Questo Bloom lo sapeva ma non gliene importava: per lui contava solo aver ricevuto il denaro per appagare la sua sete di conoscenza e nessuno, né i burocrati di Terra-7 né tantomeno i membri del suo equipaggio, che si lamentavano per la scarsità di provviste, lo avrebbero potuto fermare.

venerdì 8 marzo 2013

Madre dal cuore atomico

Nel giorno della Festa della Donna ho pensato di realizzare qualcosa di speciale. L'incipit di questo racconto mi ronzava in testa da tempo ed è legato a un ricordo molto personale. Lo dedico a tutte le donne e in particolar modo a mia madre, che ancora oggi, dopo una vita di lavoro tra casa e ufficio, trova ancora la forza di lavarmi e stirarmi praticamente tutto anche se ho superato la soglia dei trenta... Ah, questo va gustato con l'appropriata colonna sonora.




Madre dal cuore atomico


Se chiudeva gli occhi riusciva a vederla ancora: l'altalena arrugginita e, accanto, sua madre che lo accoglieva tra le braccia mentre il suo caldo sorriso risplendeva nella luce dorata dell'indolente pomeriggio estivo. Un frammento di ricordo più che un ricordo vero e proprio. Sembrava il flashback di un film ed era legato a un dettaglio fondamentale: Atom Heart Mother dei Pink Floyd.

C'è un punto di quella maestosa suite per gruppo e orchestra in cui la pomposità dei fiati si dilegua e lascia spazio a un delicato intreccio tra l'organo Hammond di Richard Wright e un violino. Quel punto lo scuoteva sempre nel profondo in un modo che non riusciva a spiegarsi, lasciandolo ogni volta in lacrime e con in testa quell'immagine. Stefano non capiva che cosa c'entrasse ma riteneva che riguardasse in qualche modo l'imprinting. La sua teoria era questa: suo padre, che gli aveva passato l'amore per i Pink Floyd, probabilmente ascoltava spesso quell'album nel mangiacassette della vecchia Fiat 127 verde pistacchio, in quei lontani giorni d'estate dei primi anni Ottanta, quando lui era molto piccolo. Quel brano doveva essere rimasto particolarmente impresso nella sua malleabile mente infantile, al punto da risuonargli continuamente in testa anche quando la madre lo portava al parco giochi.

giovedì 7 marzo 2013

Kármán - Seconda parte




Greg non credeva ai suoi occhi: un mare, forse un oceano di mercurio che lambiva una spiaggia di quarzo. Le minuscole pietre scrocchiavano contro la pianta degli stivali producendo un rumore simile al ghiaino. Greg non riuscì a contenere una fragorosa risata e cadde in ginocchio tenendosi la pancia e rise fino a che le lacrime non gli inumidirono le guance. Si asciugò gli occhi con il guanto e fissò per qualche minuto la distesa di metallo liquido scosso dalle onde, finché un rumore di passi poco distante non attirò la sua attenzione. Voltatosi alla sua sinistra, notò una figura solitaria che camminava sulla spiaggia nella sua direzione. D'istinto, si levò in piedi e gridò “Chi è là?”. La figura, dall'aspetto e dalle proporzioni umanoidi, alzò un braccio in segno di saluto. Greg la guardava avvicinarsi e non sapeva se scappare o attendere. Decise per la seconda: se doveva morire, almeno voleva saperne di più di quello strano mondo nel quale era stato catapultato.

L'aria pesante e satura di gas generava una foschia che impediva a Greg di mettere a fuoco la figura, di cui riuscì a distinguere meglio i tratti solo quando si fu avvicinata a poche decine di metri. Alto circa un metro e ottanta, l'essere – definizione migliore non riuscì a trovare – indossava una tunica viola scuro che lo rivestiva fino ai piedi, lasciandone scoperti solo gli avambracci e gli strani calzari. Il suo volto era l'elemento più disturbante: la pelle era color smeraldo, gli occhi parevano dei rubini incastonati nelle orbite e la sua bocca pendeva all'estremità di una corta proboscide. Sul capo, delle escrescenze di carne spuntavano laddove un uomo avrebbe portato i capelli. “Salute”, disse la creatura in perfetto inglese. Greg fu sconvolto più da questo che dal suo aspetto. Sollevò una mano tremante e ricambiò timidamente. “Dove... dove mi trovo? Chi sei tu?”. L'essere lo squadrò – o meglio, Greg lo dedusse, visto che non riusciva a capire in che direzione stessero guardando quei rubini senza pupille – e infine rispose. “Per quanto riguarda la tua prima domanda, il mio nome è impronunciabile nelle tre dimensioni del tuo spazio. Puoi chiamarmi Jack, se preferisci”. “Jack?”. “Jack. Per rispondere al tuo secondo quesito, vorrei che mi seguissi”. Jack diede le spalle a Greg e si incamminò su per la salita che conduceva alle rocce sovrastanti la spiaggia. Greg seguiva in religioso silenzio, ma la sua mente stava urlando. Il suo cervello, sconvolto dalla bizzarria degli eventi, era come un equilibrista sul sottile filo che separa la sanità dalla pazzia.

martedì 5 marzo 2013

Kármán – Un racconto a puntate




La linea, la maledetta linea. Mentre disegnava una spirale disperata di color viola in un vuoto cosmico senza tempo e senza materia, Greg Walton capì molte cose e incontrò nuovi quesiti a cui probabilmente non avrebbe mai dato risposta. Perché non aveva tempo di farlo. Perché stava per morire.

La vita aveva cominciato lentamente ad abbandonarlo da quando, dopo aver raggiunto con la sua capsula l'altitudine record di cento chilometri, aveva incontrato qualcosa di anomalo. Era come una barriera... no, non una barriera, una membrana. Ecco, “membrana” era il termine che gli sembrava più adatto: una superficie traspirante e viscida che si frapponeva tra la Terra e il Vuoto. “Dannati cervelloni – pensò quando il panico lasciò spazio alla rassegnazione – nessuno di voi ci aveva pensato, eh?”. No, se ne stavano seduti nei loro uffici a Houston, sorseggiando caffè mentre discutevano di questa o quella teoria inerente ai viaggi spaziali, i paradossi del continuum, la struttura dell'universo. Blah blah blah. Ma nessuno che si fosse fermato per un attimo a pensare che se Einstein aveva ragione, se il tempo era davvero una variabile a cui noi diamo un senso limitato come limitati sono i nostri sensi, allora avrebbe dovuto per forza esserci qualcosa tra il nostro mondo e l'Esterno.

Ora Greg Walton l'aveva scoperto sulla sua pelle, aveva infilato prima la testa e poi tutto il corpo in quell'immensa vagina galattica. La pena per aver voluto guardare al di là dei confini stabiliti per la sua razza dal buon Dio era la sua imminente dipartita. A casa non lasciava nessuno: una ragazza con la mania dell'ordine che passava le giornate a spolverare i mobili e gli chiedeva di indossare le pattine quando lui andava a trovarla per scoparsela. Un cane pigro e vecchio e sovrappeso. Un appartamento pulcioso con l'aria condizionata guasta, popolato di cimici e scarafaggi. E nessun servizio al TG, nessuna intervista, niente. Da questa impresa – “Un passo enorme per l'umanità”, l'aveva definita il direttore Smitherson – non aveva ricavato fama e manco un dollaro, perché doveva essere assolutamente segreta. “I rossi ci hanno fottuto con quel bavoso bastardo di Gagarin – gli avevano spiegato nel briefing – Ora noi fotteremo loro. Saremo i primi a mandare un uomo sulla cazzo di luna!”. Ma, e qui stava la fregatura: “Questa missione deve rimanere strettamente top secret. Se fallisse, diventeremmo lo zimbello del mondo intero. Tu, caro Greg, sarai un pioniere. Dopo di te ne verranno altri e gli Stati Uniti d'America conquisteranno lo spazio!”.

Spoiler Alert!

Nell'era dello spoiler, solo J.J. Abrams ci potrà salvare dallo scoprire sei mesi prima una cosa come questa.