mercoledì 13 marzo 2013

Vendesi anima, occasione unica





Il mondo era restato a guardare stupito e un po' inquieto quando il professor Armin Keppel aveva scoperto l'anima. Quella che per secoli era stata, per gli scienziati, poco più di una superstizione, si era rivelata invece una verità scientifica misurabile e, soprattutto, manipolabile. Dopo lunghi anni di studio, Keppel aveva scoperto un metodo per “catturare” l'anima al momento del trapasso. Il procedimento era il seguente: il soggetto veniva chiuso in una camera iperbarica poco prima di morire. Quando esalava l'ultimo respiro, l'anima si proiettava nell'aria circostante e a quel punto veniva attirata da una speciale batteria, che si caricava con l'energia stessa dell'anima. Una volta catturata, l'anima poteva essere conservata per un certo periodo di tempo e in seguito re-immessa in altri soggetti.

Si era creato in poco tempo un vero e proprio “mercato di anime”: i più ricchi lasciavano scritto nel testamento che, al momento del decesso, la loro anima fosse trapiantata in un corpo più giovane. Il richiedente non doveva fare altro che pattuire una certa somma – talmente cara che il novanta percento della popolazione mondiale non se la poteva permettere – con una delle tante agenzie che si occupavano della cattura, l'immagazzinamento e il trasporto delle anime. Un acconto veniva versato al momento della stipula del contratto, il resto a cose fatte. Questo per evitare, come era successo nei primi anni di vita del “metodo Keppel”, che qualche lestofante si prendesse i soldi e poi gettasse via il silo contenente l'anima (o “soul-silo”).

Naturalmente, questo traffico dava origine a due fenomeni piuttosto sinistri. Da un lato, trovare un “donatore di corpo” non era sempre impresa facile. Di solito si utilizzavano i corpi di uomini e donne di estrazione sociale bassa, morti per il malfunzionamento di un organo. Per chi poteva permettersi di pagare la somma necessaria per il trapianto di anima non era un problema aggiungere una somma extra per “riparare” i cadaveri con organi sintetici perfettamente funzionanti – anch'essi fuori dalla portata economica delle famiglie dei donatori. Quando però era impossibile reperire in tempo un donatore, alcune di queste agenzie non esitavano ad assumere sicari per “procurare carne fresca”.

Dall'altro, un grossolano errore durante uno degli interventi di trapianto aveva portato a una scoperta inquietante: non solo due o più anime potevano convivere nello stesso corpo, ma l'anima originale poteva servirsi delle esperienze, conoscenze e abilità delle anime “ospiti” mantenendo intatta la propria identità. Questo procedimento era stato immediatamente dichiarato illegale, ma ciò non aveva impedito la nascita di un mercato nero delle anime: più famoso, intelligente o potente era l'individuo a cui era appartenuta l'anima in vendita, più caro era il prezzo della stessa.





Paul Wyndham non aveva tutti questi soldi da spendere, ma non era un grosso problema, perché l'anima che andava cercando non valeva poi tanto denaro. Si trattava dell'anima del suo capo, Grant Cochrane, un politico senza scrupoli ma ben poco influente, che durante la sua vita aveva costruito una discreta fortuna tramite il ricatto e l'intimidazione. A Paul, quel figlio di puttana era sempre sembrato un ripugnante, grasso ragno accoccolato al centro di una ragnatela di corruzione e prevaricazione. Ciononostante aveva lavorato per lui per venti lunghi anni ed era a conoscenza dei segreti più sordidi, come l'esistenza di un conto protetto alle isole Cayman, dove l'uomo aveva versato i suoi ingenti guadagni illegali. C'era solo un piccolo problema: per sbloccarlo gli occorreva un codice di sette cifre che, purtroppo, non era mai riuscito a scoprire. Ma ora Paul aveva la sua grande occasione per fare il colpo del secolo e ritirarsi a bere mojito su qualche spiaggia tropicale, lontano da quella alienante metropoli che lo stava lentamente logorando.

Quella mattina si era dunque svegliato di buon'ora e di buon umore, aveva fatto una lauta colazione e si era recato dietro la stazione centrale, nell'affollato mercatino gestito dalla mafia cinese. Lì aveva incontrato il suo contatto e l'uomo lo aveva condotto a trattare per il furto e l'acquisto dell'anima di Cochrane. Tutto era filato liscio: Paul aveva versato il denaro contante, i risparmi di una vita, e lo sgherro dell'organizzazione gli aveva detto di attendere loro notizie entro un paio di settimane. Dieci giorni dopo i quotidiani riportarono la notizia di uno spettacolare furto a un convoglio che trasportava soul-silos e, puntualmente, la malavita si fece viva due giorni dopo. Paul venne convocato in un magazzino abbandonato nel quartiere più malfamato della città e un tirapiedi con la faccia butterata gli consegnò il silo di Cochrane. “Ci hai fatto faticare un bel po' – grugnì il tizio – Quel pezzo di merda pesa un casino anche da fantasma”. Era vero: Paul non aveva mai tenuto in mano un silo prima di allora, ma quello era veramente pesante. Si chiese se anche gli altri fossero così, ma se l'uomo glielo aveva fatto notare voleva dire che si trattava di un caso eccezionale.

A tarda notte, Paul guidò fino allo studio medico di Zeke Sawyer, un suo vecchio amico che per arrotondare eseguiva merging di anime illegali. L'uomo lo accolse e lo accompagnò nel seminterrato, dove nascondeva l'apparecchiatura necessaria: una camera iperbarica, dotata di uno slot per inserimento silos, e il kit di primo soccorso nel caso qualcosa fosse andato storto. Paul si sistemò nella camera iperbarica e Sawyer gli consegnò un cartone di LSD, indispensabile per inibire l'effetto della serotonina, uno dei principali antagonisti all'assorbimento delle anime estranee. Paul leccò il cartone e si stese nel lettino, mentre il medico chiudeva il portello isolandolo all'interno. “Tutto a posto?”, chiese Zeke dall'interfono. Paul chiuse la mano a pugno e alzò il pollice. “Bene, allora possiamo procedere”. L'uomo fece scattare due interruttori e la luce del silo da rossa divenne verde.

Dapprima, Paul non provò nulla di particolare e per qualche minuto si chiese se tutto stesse funzionando a dovere. Poi, lentamente, cominciò ad avvertire un formicolio alle estremità. Poteva essere colpa dell'acido, ma Paul sapeva che non era così. Pian piano la sua mente cominciò a giocare strani scherzi: immagini che non aveva mai visto prima, come il volto di una donna con il velo da sposa (lui non era mai stato sposato), una gita in barca, un funerale. Memorie che non gli appartenevano. Quando cominciò a vedere frenetiche sedute in parlamento, comizi elettorali e scambi di mazzette, Paul ebbe la prova definitiva: quelle immagini provenivano dall'anima di Cochrane, che si stava fondendo con la sua. Paul provò un senso di appagamento: il merging stava funzionando alla grande e presto lui sarebbe stato un uomo ricco.

Poi accadde qualcosa di imprevisto.





Le immagini iniziarono a ripetersi come in un loop, ma ora sembravano le versioni distorte di loro stesse: la bella ragazza col velo da sposa divenne un teschio ributtante con un occhio fuori dall'orbita e l'altro invaso da vermi striscianti. La gita in barca si svolgeva su un lago di lava ribollente da cui uscivano braccia artigliate che afferravano Cochrane e i suoi compagni di viaggio per trascinarli con loro nell'abisso rovente. Il funerale divenne un'orgia di morte in cui i cadaveri si sollevavano dalle fosse e sbranavano i vivi, sventrandoli e cibandosi delle loro interiora fumanti. Poi uno dei cadaveri si avvicinò a pochi centimetri dal volto di Cochrane/Wyndham e sussurrò: “Vieni con me, vieni con tuo padre nel posto a cui apparteniamo. Lui ci aspetta”.

Paul cacciò un urlo lacerante e si svegliò di soprassalto. Era steso sul lettino e accanto a lui vide Zeke che lo fissava perplesso. “Calmati, Paul, per l'amor di Dio! È stato solo un incubo”. Paul si guardò intorno e capì di essere ancora nel seminterrato. Il suo respiro affannoso si calmò a mano a mano che la sua coscienza oltrepassava il velo del dormiveglia e si ancorava con le unghie alla realtà tangibile. “Che è successo? Ha funzionato?”, chiese, mentre si asciugava il sudore freddo con la mano. “A meraviglia – rispose Zeke – Sei ufficialmente il proprietario di un'anima extra. Confido che tu abbia portato i contanti, non amo gli assegni”.

I giorni seguenti furono come un incubo a occhi aperti: Paul vagava per le strade della tentacolare metropoli in preda alle allucinazioni. Dappertutto vedeva cose che non avrebbero dovuto esistere: passanti che, davanti ai suoi occhi, si tramutavano in diavoli schiumanti con enormi corna nere, denti aguzzi e sorrisi maliziosi. “Vieni con noi, Paul. Vieni con noi”, ripetevano all'infinito. I grattacieli si contorcevano come gigantesche serpi velenose inghiottendo le persone, mentre ragni pelosi grossi come cani lo braccavano fino a circondarlo in vicoli ciechi, dove puntualmente si risvegliava in preda al panico ma senza un graffio. Nel giro di qualche giorno era diventato l'ombra di se stesso: portava delle vistose occhiaie, gli abiti logori e sporchi e puzzava come se si fosse rotolato in una discarica. I rari momenti di lucidità li passava nei bar del porto, trangugiando liquami che gli ustionavano le budella. Si trattava per lo più di whisky, ma a lui appariva come nero sangue sgorgato dalla gola del Demonio.

Finché un giorno non sentì una voce alla sua sinistra: “Salve, Paul”, disse. Wyndham era seduto al bancone di un bar e si stava sbronzando come ogni giorno per soffocare il tormento. Si voltò per vedere chi avesse parlato e vide un uomo distinto, con addosso un costoso completo di Armani. Paul impiegò qualche secondo per mettere a fuoco il volto della persona che gli aveva rivolto la parola, e quando lo fece capì di essere finalmente impazzito del tutto. Davanti a lui c'era Grant Cochrane.





Solo qualche giorno prima, quella visione lo avrebbe scaraventato in un baratro di terrore paralizzante, ma ormai ne aveva viste troppe per stupirsi di essere in presenza di un uomo morto. “Cochrane – si limitò a commentare – Chi si rivede. Che vuoi da me?”. “Sono qui per dirti che hai fatto un grosso errore a rubare la mia anima, Paul. L'ultimo e peggior errore della tua vita”. “Credi che non me ne sia accorto? Guarda quello che mi sta succedendo! Sto parlando con un morto, per Dio”. “Lascia fuori Dio da tutto questo. Dio non c'entra. Anzi, tutto l'opposto”. Paul lo fissava ora con angoscia. “Vedi, ragazzo... Prima di morire, ho fatto un patto con un certo Signore. Gli ho promesso la mia anima, per così dire. Credevo che reincarnandomi all'infinito Lo avrei fregato, ma non è così. Ora la mia anima è dentro di te e quel Signore è venuto a prendersela. Con la forza, se necessario”. Paul era sempre più sconvolto. “Vuoi dire che hai fatto un patto col Diavolo e che ora ce lui l'ha con me?”. “Precisamente. Ora... vediamo di concludere questa cosa rapidamente, ti va? Dietro il bancone c'è un fucile a pallettoni. Datti da fare”.

Quello che seguì, Paul lo vide in terza persona, come se la sua coscienza si fosse proiettata all'esterno e stesse guardando la scena al ralenti. Prima afferrò la bottiglia di whisky e la fracassò in testa a Cochrane – e quando lo vide a terra, si rese conto che non era per nulla Cochrane, non gli assomigliava neanche. Poi, con un balzo, si arrampicò sul bancone e afferrò il fucile appoggiato a dei ganci dietro di esso e quindi sparò prima al barista e in seguito ad alcuni degli avventori. Il sangue zampillava ovunque e Paul si guardava intorno con la bava alla bocca, in cerca della sua prossima vittima. Due uomini erano fuggiti all'esterno, altri si erano barricati dietro ai tavoli. Paul corse fuori e cominciò a sparare all'impazzata sui passanti. Atterrò una coppia di fidanzati, un tizio incravattato che correva ai ripari con la sua stupida ventiquattrore in mano, un pony express che aveva tentato (coglione!) di fuggire pedalando più forte. Poi fece fuori una donna che spingeva una carrozzina e fu quando ebbe puntato la canna del fucile contro il bebè nella culla che sentì qualcuno intimargli la resa. “Butta giù il fucile!”, disse la voce. Paul alzò lo sguardo e vide un agente di polizia che lo teneva sotto tiro con un'automatica. Wyndham aveva ormai un sorriso beffardo sul volto sporco di sangue e bava viscosa. Esplose in una risata satanica e fece per premere il grilletto, ma lo sbirro fu più rapido e lo consegnò all'oblio con un paio di colpi ben assestati al petto e all'addome.

Mentre giaceva disteso a terra nel suo stesso sangue, Paul vide che il cielo aveva cambiato colore. Da azzurro era diventato rossastro: lingue di fuoco si dimenavano nell'atmosfera, che si era fatta improvvisamente torrida. Calda come l'Inferno. Poi si sentì come tirare per i piedi e allora abbassò gli occhi e vide ai suoi piedi Grant Cochrane. “Te l'avevo detto che Lui si sarebbe preso la mia anima. Purtroppo la tua era nel mezzo, niente di personale”. Fu allora che Cochrane iniziò a mutare repentinamente, perdendo la fisionomia umana e assumendo contorni di un orrore indescrivibile. Paul capì in quel preciso istante che davanti a sé non aveva Cochrane, ma qualcosa che non apparteneva alle quattro dimensioni del tempo e dello spazio: un orrendo demone, un tirapiedi infernale giunto sulla Terra per trascinarlo con sé nell'abisso.

Mentre precipitava verso l'agonia eterna, Paul avvertì una sensazione che non aveva mai provato prima: si rese conto che quel baratro in cui stava sprofondando era edificato con la paura stessa; che la paura, in quel luogo, aveva assunto attributi fisici. Una sensazione così pura che quasi lo commosse. “Bell'affare ho fatto”, pensò, mentre il fuoco eterno lo avvolgeva in un bruciante amplesso.

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