lunedì 22 aprile 2013

La caverna di Alpha Arcturi – Prima parte




Zitus Bell non aveva mai pensato che sarebbe morto congelato, nella pancia di una grotta su un ostile pianeta alieno, a migliaia di anni luce dalla Terra. Si era arruolato volontariamente nelle Fiamme Argentee, il corpo di polizia spaziale fondato del presidente Koutra II e promosso da Koutra III a unica forza militare della galassia. Erano giorni gloriosi quelli in cui si era iscritto alle liste, aveva passato l'addestramento col pieno dei voti ed era partito alle volta di Arturo col cuore gonfio di orgoglio. Ora, a dieci anni da quel fatidico viaggio, avrebbe sorriso della sua ingenuità, se avesse potuto muovere le labbra.

Il vento sfrecciava a trecento chilometri orari nella gelida notte di Alpha Arcturi. Zitus si era rannicchiato per bene nella coperta termica in dotazione, ma gli anni avevano scavato enormi buchi rendendola di fatto inutile. Se ne era reso conto ben presto, ma aveva dovuto scegliere tra il morire sbranato dalle belve feroci della tundra o per assideramento. Aveva preferito la seconda opzione.

Sperava di prendere sonno e morire dormendo, la prospettiva più invitante degli ultimi sei mesi. Ma non riusciva ad addormentarsi perché, ogni volta che ci provava, veniva richiamato dal dormiveglia dagli ululati delle bestie sanguinarie che si aggiravano per l'altipiano, in cerca di carne. Si domandava se quell'ultimo verso agghiacciante fosse stato quello di un Urlocefalo o di un Tetragraboide. Non che facesse molta differenza.

Le cose erano andate molto male nell'ultimo anno. Nel corso dei nove precedenti, le Fiamme Argentee avevano tenuto testa alle truppe dei Lorki, giunti da un luogo imprecisato della galassia di Andromeda per invadere le colonie della razza umana. In alcuni casi, le Fiamme avevano tenuto testa al nemico ricacciandolo nei meandri del cosmo. Altre battaglie, invece, si erano concluse in favore del nemico. Il caso di Alpha Arcturi era invece unico nel suo genere: da vent'anni i Lorki lo assediavano senza sosta e, nonostante la Terra continuasse a inviare rinforzi, il nemico non mollava mai l'osso. Le Fiamme vi erano giunte inizialmente per proteggere le colonie, ma i loro ufficiali erano sicuri che entro pochi mesi le schermaglie sarebbero terminate. In due possibili modi: o i Lorki avrebbero rinunciato a perseverare in una lotta futile, oppure dalla Terra sarebbe arrivato l'ordine di lasciare i minatori al loro destino. In fondo, come pensavano tutti gli strateghi terrestri, Alpha Arcturi era un piccolo pianeta di classe Teta privo di qualsivoglia vantaggio strategico per chi lo avesse conquistato. Ma le loro previsioni vennero presto disattese, quando dalla Terra giunse l'ordine di non cedere il pianeta per alcun motivo. “Non sappiamo perché i Lorki lo vogliano così tanto – aveva comunicato loro il capo del Ministero della Strategia – ma ci deve pur essere un motivo, e finché non lo scopriremo dovrete mantenere la vostra posizione”.

E poi erano trascorsi nove anni di piccole e grandi battaglie, nove anni di tediosi turni di guardia al gelo delle notti arturiane, nove anni di schifoso cibo in scatola e di polmoniti ed embolie, dovute alla pressione variabile del pianeta. Nove anni di strenua difesa di una roccia sperduta nel buco del culo del cosmo. Eppure i terrestri avevano retto e Zitus era orgoglioso di come le Fiamme Argentee avessero dato del filo da torcere all'invasore. Poi era andato tutto a rotoli in soli dodici mesi.

I Lorki erano ritornati in forze con una nuova flotta di navi e una nuova tecnologia a loro disposizione: i fucili a negatroni, capaci di neutralizzare gli avversari cancellandoli letteralmente dall'esistenza. Con quest'arma sbucata dal nulla, i Lorki avevano ribaltato le sorti del conflitto e ora i pochi sopravvissuti delle Fiamme e dei coloni vagavano solitari o in piccoli gruppi sulla superficie del pianeta, in attesa di rinforzi che non arrivavano mai. Da dove avevano preso quella straordinaria arma i loro invasori? E perché non l'avevano mai utilizzata prima? La risposta giaceva forse in una leggenda che si narrava sui Lorki, che fossero una razza di viaggiatori nel tempo e che il loro impero non si estendesse tanto nello spazio quanto nel tempo. Se ciò era vero, era anche possibile che avessero scoperto i negatroni in qualche loro futuro e li avessero adottati per risolvere il presente conflitto.

Supposizioni ed elucubrazioni che in quel momento a Zitus non importavano gran che. A lui ora interessava soprattutto morire nel placido abbraccio della notte di Alpha Arcturi. Sentiva già le dita dei piedi che si irrigidivano e pensò: “Va bene così. Finalmente un po' di pace anche per Zitus Bell”. Ma appena ebbe concluso questo pensiero, avvertì come una sensazione di calore provenire dall'interno della grotta sul cui uscio si era sistemato. Bastò questo per far sì che in lui si riaccendesse l'istinto di sopravvivenza. Il calore doveva per forza essere generato da una fonte geotermica, forse un vulcano sotterraneo. E calore, per una persona che si era rassegnata a morire assiderata, voleva dire speranza.

C'era solo un problema: la prima regola che gli era stata illustrata quando aveva messo piede su Alpha Arcturi dieci anni prima era di non addentrarsi mai nelle caverne sotterranee. A quanto pareva, il pianeta era eccezionalmente cavo, molto più della Terra. Era percorso da migliaia di chilometri di gallerie e grotte, un vero mondo sotto il mondo. Ma si trattava di un mondo tra i più pericolosi, perché oltre ad essere coperto per buona parte da vulcani e fiumi di lava ribollente, che si affacciava da profondi crepacci che attingevano direttamente dal mantello del pianeta, era abitato da predatori micidiali e soprattutto la pressione era tale che avrebbe ucciso qualunque essere umano entro poco tempo. I coloni stessi avevano tentato di scavare delle miniere, appena giunti lì, ma avevano rinunciato dopo aver perso troppi uomini.

Eppure in quel momento gli sembrava un'alternativa invitante, se non altro perché sapeva quale sarebbe stato il suo destino in superficie – o per lo meno, conosceva le varie opzioni – mentre la caverna avrebbe potuto ancora sorprenderlo. Incredibile come l'animo umano sia spinto alla ricerca e alla scoperta anche a pochi passi dalla morte.

Zitus decise così di addentrarsi nel cunicolo che conduceva nelle viscere della terra e poco più avanti, dove il corridoio di roccia cadeva improvvisamente a novanta gradi in uno strapiombo, l'uomo riuscì ad avvistare un lieve bagliore provenire da quel fosso buio e spaventoso. Zitus frugò nello zaino e trovò la torcia, la cui batteria era ormai quasi scarica. Poi lasciò lo zaino nell'atrio della caverna e iniziò la discesa, aggrappandosi agli spuntoni di roccia illuminati dalla torcia che reggeva in bocca. Un paio di volte rischiò di scivolare e rompersi l'osso del collo, ma alla fine, con suo grande sollievo, toccò con un piede il fondo della caverna. In quel momento la torcia decise di smettere di funzionare, ma per sua fortuna la fonte di luce rossastra che proveniva da una fenditura nella roccia, poco più avanti, era sufficiente per illuminare il suo cammino. Zitus dovette solo attendere qualche minuto perché i suoi occhi si abituassero alla semioscurità, ma poi iniziò a precedere con una certa sicurezza verso la luce. [Continua]

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