martedì 7 maggio 2013

La zona neutra – Quinta parte




L'attesa è stata lunga, ma finalmente ho trovato il tempo di scrivere la quinta parte de La zona neutra. Non si tratta ancora dell'episodio finale, ma la disavventura di Johnny Martian e dell'Odissea sta decisamente volgendo al termine...


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Johnny Martian riprese lentamente conoscenza. Quando aprì gli occhi, notò subito che intorno a lui dominava l'oscurità e una calma surreale. Il baccano devastante causato dalla breccia nel fianco dell'astronave, che aveva risucchiato l'aria e i suoi compagni nell'oscuro e silente ventre dell'universo, era un lontano ricordo. All'inizio, ancora stordito, lo sceriffo non si era posto molte domande, ma appena si riebbe del tutto si rese conto di trovarsi davanti a un evento che sfidava la logica: com'era possibile che la parete squarciata si fosse ricomposta da sola? Era come se i rapporti tra causa ed effetto si fossero ribaltati improvvisamente. Martian non sospettava nemmeno di essere così tanto vicino alla realtà.

L'uomo si sforzò di alzarsi in piedi e sentì dolere tutte le ossa allo stesso tempo, come un coro di lamenti ultraterreni che percorresse il suo corpo alla velocità del suono. La maniglia che gli aveva salvato la vita, consentendogli di aggrapparsi per evitare di essere aspirato nello spazio, fungeva ora da appoggio utile per ritrovare la posizione eretta. A quel punto, nel buio dell'atrio silenzioso, Martian si ricordò cosa si stesse accingendo a fare prima che le scosse telluriche togliessero il senso alla sua missione.

Si avvicinò zoppicando alla porta dell'ascensore e notò che la luce del comando manuale lampeggiava: ciò significava che il sistema elettrico d'emergenza era attivo. Johnny premette il pulsante con il palmo della mano e la porta si spalancò. Poi selezionò il piano della sala macchine e discese attraverso la pancia ferita del vascello.

La sala macchine era intatta. Anche qui era calato il buio, salvo alcune piccole lampade che si erano attivate qua e là dopo l'urto. E anche qui regnava il silenzio e non c'era alcun essere umano in vista. Evidentemente, doveva essere accaduto qualcosa di molto simile a quello che era capitato ai suoi due assistenti, oppure semplicemente l'equipaggio si era riunito nel modulo d'emergenza in testa all'astronave. Martian si guardò intorno, cercando la fornace nella quale venivano fuse le scorie della materia nera che alimentava il motore dell'Odissea. Temperature che, in tempi remoti, quando ancora l'umanità era soggiogata dal folklore delle religioni, sarebbero state definite “infernali”. Occorrevano diecimila gradi per fondere la materia nera residua fino a una melma sufficientemente non nociva. L'interno della fornace non era quindi un luogo piacevole da visitare, eppure Martian era diretto proprio lì. Trovò una delle tute isolanti appese a un attaccapanni accanto alla fornace. La indossò e poi controllò sul display – funzionante, per fortuna! – la temperatura interna del forno. In quel momento si aggirava intorno ai tremila gradi, abbastanza bassa perché la tuta potesse proteggere il suo corpo. Martian fece scattare la serratura manuale della porta ed entrò nella caverna di fuoco.





Lo sceriffo sapeva bene quello che stava cercando, ma sapeva anche che sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Per non parlare del fatto che, dopo tutto ciò che era successo, forse trovare la prova per incastrare Bloom non aveva più molto senso. Ma il suo rigido codice professionale, sviluppato in tanti anni di servizio negli angoli più sordidi delle galassie, lo aveva trasformato in uno sbirro testardo che anteponeva la risoluzione dei casi a tutto il resto, e le sue numerosi mogli avrebbero potuto testimoniare a suo favore (almeno in questo). Martian rovistò, servendosi di un piede di porco, il fondo della fornace, brulicante di ammassi melmosi incandescenti. Tra i resti del carburante, finalmente l'occhio gli cadde sull'oggetto della sua ricerca.

In parte nascosto da una catasta di bozzoli di materia nera semi-disciolti, giaceva ai suoi piedi il cubo arcaissiano. Martian, tutto contento per il suo colpo di fortuna, si chinò e lo raccolse. Il cubo era composto di una lega che comprendeva la materia nera e, come aveva sospettato, Bloom lo aveva gettato nella fornace dopo essersi sbarazzato del corpo di Katanga, per cancellare ogni prova del suo delitto. Il cubo era già in parte disciolto, il che voleva dire che era rimasto nella fornace per alcune ore. Ma c'era qualcosa che non tornava, cioè la sua forma. Il cubo non era più un cubo: era diventato una specie di parallelepipedo deforme, e difficilmente questo poteva essere un effetto della temperatura. No, c'era qualcos'altro sotto. Qualcosa che inquietò Martian nel profondo.

Poi una nuova esplosione distrasse Johnny dai suoi pensieri. La nave vacillò nuovamente, scossa da un'oscillazione che fece perdere l'equilibrio allo sceriffo. Martian, che ormai era abituato a vedersi il mondo strappato da sotto i piedi, si rialzò, sempre più dolorante, e si avvicinò a uno degli schermi che riportavano in tempo reale la situazione dell'astronave.

E vide con orrore che l'esplosione era stata causata dal distaccamento del modulo sferico d'emergenza. Ammesso che l'equipaggio avesse seguito le procedure di sicurezza, ciò significava che tutti i suoi compagni di viaggio avevano abbandonato la nave, lasciandolo a morire solo. Martian si affrettò a cercare una trasmittente per implorare gli altri di attendere il suo arrivo a bordo di una scialuppa di salvataggio. Ma mentre armeggiava intorno alla console principale della sala macchine, avvertì un nuovo scossone, stavolta più attutito.

Osservando il monitor un'ultima volta, capì perché questa seconda esplosione fosse risultata meno intensa della prima: il modulo d'emergenza, già distaccato dal segmento principale dell'Odissea, era saltato in aria, portando con sé le vite di tutti i suoi compagni. Ora sì, che era davvero rimasto solo. [Continua]

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