martedì 21 maggio 2013

La zona neutra – Sesta parte

Ci siamo! L'odissea dell'Odissea giunge al termine. Che ne sarà di Johnny Martian? Non vi resta che scoprirlo...




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L'immagine affondò nella materia spugnosa del suo cervello come un maglio, portando una sensazione di stordimento che, per qualche minuto, lo costrinse immobile e con gli occhi sgranati, a contemplare il monitor della spietata verità. Lo spazio fuori si era fatto ancora più buio e gelido e desolato, ora che Johnny Martian sapeva di essere solo nell'eternità.

Dopo essersi finalmente ripreso dallo shock, si tolse la tuta isolante e si infilò una tuta pressurizzata. Decise che l'unica cosa da fare fosse tornare verso il ponte principale, nella speranza di raggiungere la Baia ed espellersi in una capsula di salvataggio. Avrebbe anche potuto rimanere ibernato per qualche secolo, prima che qualcuno lo trovasse, ma se non altro non sarebbe morto. O magari sarebbe morto nel sonno, una prospettiva non così cupa come quella di vagare nel nulla senza stelle fino alla morte per assideramento o fame.
Così, Martian uscì dal portellone a tenuta stagna della Sala macchine e percorse a ritroso il suo cammino. L'atmosfera all'interno della nave era ancora intatta, ma l'elettricità andava e veniva. Notò, appunto, che l'ascensore che lo aveva condotto a quel livello non funzionava più e così prese le scale per tornare al piano del ponte principale. Lì si incamminò verso la sezione della Baia, che si trovava a metà del modulo oblungo dell'astronave, sul lato destro. Finalmente lo raggiunse e guardò fuori dagli enormi finestroni, per contemplare quello spazio così buio che ormai da settimane li circondava e che sarebbe stato, forse, la sua tomba eterna. Nel farlo, però, notò due dettagli che lo colpirono profondamente: da una parte il buio ormai non era più così pesto. Al contrario, una lieve luminescenza, simile a quella procurata dai primi raggi di sole che si affacciano all'orizzonte nell'ultima ora della notte, bagnava di uno strano riflesso i rottami del modulo di emergenza che vagavano senza meta nello spazio circostante, insieme ai corpi dei suoi compagni caduti.

Poi, vide qualcos'altro che lo sconvolse ancora di più.

I rottami, che solo un attimo prima si spargevano nello spazio allontanandosi dall'Odissea, presero a muoversi nella direzione opposta. Come se stessero tornando a casa, pensò Martian. Ma c'era di più, e di peggio. Uno dei cadaveri fluttuanti cominciò a muoversi. Si dimenava come in preda a una crisi epilettica e infine parve riprendere vita. Johnny lo osservava sbalordito, mentre piegava la testa verso di lui e iniziava a fissarlo con quegli occhi accesi di una luminescenza verdognola. E, come se non bastasse, l'essere – definire “uomo” una creatura capace di tornare dalla morte e sopravvivere nello spazio esterno gli sembrava un'offesa a Madre Natura – volò nella sua direzione! Non stava più volteggiando senza una direzione precisa, no. Aveva deliberatamente puntato verso la Baia e si era spinto in quella direzione grazie a una misteriosa forza motrice che non poteva risiedere nei muscoli.

Johnny si guardò intorno. E vide che anche tutti gli altri cadaveri avevano ripreso vita e si stavano dirigendo verso di lui. Fu allora che avvertì un nuovo boato, un gemito sinistro che pareva il suono di una balena morente, spiaggiata sulla costa di un mare alieno. Il suono era tutto intorno a lui, e Martian iniziò a voltare freneticamente la testa in ogni direzione, per capire cosa stesse accadendo. Quello che vide era altrettanto inspiegabile: le pareti dell'astronave si stavano muovendo e i pannelli di cui era composto il modulo si fondevano l'uno con l'altro in una danza che, se non fosse stata potenzialmente letale, avrebbe potuto essere definita “armoniosa”. Ma ormai Johnny stava impazzendo di paura.




La danza dei pannelli lo aveva distratto per un attimo da quella dei mostri umani, che ormai avevano toccato le vetrate della Baia come uno sciame di locuste che plani su un campo di granturco. Una volta lì, gli esseri si arrestarono per pochi, terrificanti e lunghissimi secondi, per poi allungare in sincrono i loro colli. Dalle loro fauci, allora, sgorgò un vomito verde fosforescente, che ricoprì di un icore verdastro le vetrate. Queste iniziarono a disciogliersi davanti agli occhi di Martian, che, spinto ad agire dall'ultima traccia del suo istinto di conservazione, corse subito alle capsule criogeniche di salvataggio. Ma era già troppo tardi.

In quel preciso istante, la grande finestra della Baia cedette con un rumore assordate e le orde di invasori penetrarono nel vascello, noncuranti del gorgo devastante prodotto dall'atmosfera artificiale che lasciava per sempre l'Odissea, scaraventata nell'immensità esterna. Ancora una volta, Martian si ritrovò aggrappato a un corrimano, aggrappato disperatamente a una vita che non intendeva mollare, anche di fronte a una tale, bieca disperazione. Facendosi forza, riuscì infine ad aprire il portello di una delle capsule, infilata in un cilindro che si apriva dall'altro lato dello scafo e l'avrebbe proiettato verso un'effimera salvezza. Ma quando si voltò un'ultima volta per vedere se avesse o meno ancora tempo, prima che i mostri che erano stati i suoi compagni lo raggiungessero, constatò con orrore che gli erano già addosso. Tra essi, vide anche O'Bannon, e capì che anche lui, insieme probabilmente a Stratos, doveva essersi rianimato nello spazio e aver raggiunto in volo la nave.

Poi, accadde qualcosa di imprevisto. I mostri sembrarono ignorarlo completamente, e passarono oltre, diretti verso il ponte dell'astronave, vomitando qua e là quella bizzarra sostanza verde. Martian colse l'occasione e si chiuse dentro la capsula, azionò la leva dell'espulsione e si proiettò nello spazio. Le ultime immagini che vide, prima di rannicchiarsi in posizione fetale pronto per l'ibernazione, furono... spettacolari. Era conscio di quanto un termine simile fosse inadeguato a descrivere una tale catastrofe, costata la vita a tanti uomini e forse a lui stesso. Ma non poteva negare che, se le forze in atto in quel momento erano da considerarsi naturali, allora la natura era ben più possente di quanto la sua razza avesse mai creduto.

L'Odissea si stava accartocciando su se stessa e stava riprendendo pian piano la forma dell'originale blocco di Duranio da cui erano state scolpite le sue diverse parti nei cantieri di Tico-Teco. Le leggi della fisica, del tempo stesso, piegate da una forza invisibile che andava contro a qualsiasi logica umana. Infine, come se avesse attraversato una soglia, la nave scomparve senza lasciare traccia, nella lieve luminosità di quell'alba misteriosa ai confini dell'Universo.

Johnny Martian si addormentò di un sonno senza sogni. Passò molto, molto tempo prima che qualcuno lo risvegliasse.

FINE

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